Etruschi

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Dal Libro 'Magie nel Mondo' di Percival Godwin

La prima grande civiltà nata in Italia è quella degli Etruschi , un popolo rimasto per secoli avvolto nel mistero, ma viene anche detta "civiltà villanoviana", dal nome della città di Villanova, presso Bologna (una città italiana), in cui vennero scoperti i primi reperti. Dal VII secolo a. C., con l'arrivo dei Greci, attirati dalle ricchezze minerali dell'Etruria (ferro, rame, alluminio e stagno), cominciò il periodo aureo degli Etruschi. Essi costituirono una Dodecapoli, confederazione di dodici città rette da un re, chiamato Lucumone: Cere (Cerveteri), Tarquinia, Vulci e Vetulonia, le quattro città marinare; Volsinii (Bolsena), Chiusi, Perugia e Veio, le città più interne; Cortona, Arezzo, Fiesole e Volterra nella parte settentrionale. Questa federazione teneva concilio nel tempio di Voltumna, latinizzato poi in Vertumno, nel territorio di Bolsena, discutendo sui problemi e sugli interessi dei popoli delle città. Gli Etruschi estesero il loro dominio anche alla pianura padana, fondando un'altra lega di dodici città, con capitale a Felsina, l'odierna Bologna, città che furono le prime a subire gli attacchi dei Galli nel IV secolo. A sud conquistarono la Campania e il Lazio, regalando a Roma tre re della dinastia dei Tarquinii: Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. Furono per due secoli una grande potenza marinara, dando del filo da torcere ai Greci, ai Romani ed ai Focesi, fondatori di Marsiglia, per combattere i quali si allearono con Cartagine. Con la cacciata dei Tarquini da Roma e le sconfitte dei Cartaginesi, cominciò a declinare la potenza etrusca sul mare, con espansione in terra verso Bologna, Adria e Spina. La decadenza, lenta ma totale, della civiltà etrusca iniziò con l'ascesa della potenza romana e si compì nel I secolo a. C., quando la "Lex Julia de civitate" cancellò la cittadinanza etrusca.
Gli Etruschi adoravano una triade di Dei principali: Tinia, corrispondente al Giove romano, sua moglie Uni, corrispondente a Giunone, e Menrva, Minerva. C'erano poi Aplu (Apollo), Hercle (Ercole), Turms (Mercurio), Turan (Venere) e Maris (Marte). Dei malvagi erano Vetisl, Velkhans ed il demone Charun, che faceva uscire l'anima dai corpi morti con un poderoso colpo di martello. C'era inoltre una Dea, Norzia, detta "fissatrice del destino", che aveva la sede principale di culto a Bolsena: la ricordiamo perché è stato trovato un rituale magico a lei dedicato, fatto con un chiodo, che molto ricorda i rituali di contromaleficio della magia nera.
La volontà di questi Dei veniva interpretata dai Sacerdoti, che avevano varie specialità: alcuni erano esperti nell'osservare i lampi (Ars Fulguratoria), altri nel volo degli uccelli (Auspicium), altri ancora nell'osservare le viscere degli animali sacrificati (Haruspicium). Quest'ultima era un'arte importantissima, essendo il fegato considerato sede della vita. L'arte aruspicina era la caratteristica in cui eccelleva il popolo etrusco, tanto che veniva detta "disciplina etrusca"; considerata un vero e proprio sacerdozio, era appannaggio di nobili famiglie; fra queste possiamo ricordare gli Spurinna di Tarquinia, poiché fu proprio uno di loro a predire a Giulio Cesare la morte alle Idi di marzo. Le regole delle predizioni erano scritte nei Libri Aruspicini, il cui autore era il dio Tages (per questo venivano anche chiamati Libri Tagetici). Narra la leggenda che questo dio era balzato fuori dal solco di un campo che un contadino di Tarquinia stava arando; aveva la forma di un bambino, ma la saggezza di un vecchio; a coloro che erano accorsi, incuriositi dalla sua comparsa improvvisa, egli aveva rivelato i segreti dell'Aruspicina, ma col tempo questa nobile arte degenerò e gli Aruspici divennero ciarlatani.

L'unico libro rituale giunto sino ai nostri giorni è il Liber Linteus, più comunemente conosciuto come Mummia di Zagabria e più raramente chiamato Liber Agramensis ed è il più lungo testo in lingua etrusca di cui disponiamo (circa 1200 parole) e il solo esistente libro in lino. Si tratta di un drappo di lino suddiviso in dodici riquadri rettangolari, che era stato utilizzato in periodo Tolemaico per bendare la mummia di una donna ritrovata in Egitto a metà del XIX secolo. È detta "di Zagabria" perché fu riportata dall'Egitto come cimelio dal croato Mihail de Brariæ. Il testo, che reca un Calendario rituale, fu riconosciuto e studiato solo alla fine del secolo.